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IDEE PER PROGETTARE L’INNOVAZIONE



Come si fa a progettare cose nuove?

Se ti fai questa domanda sei il ben venuto nel club “E mo, che si fa?” ah ah.

I cambiamenti sono sempre difficili, si sa e non ci vuole un genio per dirlo, ma a farli sembra essere tutt’altra manica.

Sembriamo aver sbattuto tutti il naso contro il muro della storia, infatti il compito del nostro tempo sembra essere quello di riformulare tutta la nostra esistenza e per farlo dobbiamo non solo cambiare il nostro modo di pensare, ma anche essere in grado di cogliere i nuovi significati della realtà in essere.


Qual è quindi la prima innovazione che dobbiamo fare?

Cambiare le nostre lenti e cioè vedere i nuovi significati, desideri, bisogni… in un’espressione: dobbiamo cambiare il nostro modo di vedere le cose, di pensare.


Come si fa a trovare nuove soluzioni?

Accogliendo e sostenendo progetti che non distruggano il vecchio, ma lo innovano e così lo salvano dalla rovina generando soluzioni utili per il presente e l'innovazione per il futuro. Per farlo però dobbiamo avere la coscienza e la capacità di elaborare il lutto che ogni forma di cambiamento porta con sé. I fatti sociali sono già i prodromi del lutto non visto da alcuni e che si diffonde perché funziona così (per meccanica del nostro tempo) , ma che dobbiamo fare tutti: il modo di lavorare, la scansione dei tempi del quotidiano, le relazioni... tutto è cambiato nelle nostre vite e cambia alla velocita dei minuti, non delle generazioni perché siamo nell’era digiglobale. Spero non siano parole che facciano risuonare rabbia, ma al contrario: speranza, fiducia, visione.

Mi viene questo esempio.


Prova a pensare ad un villone del 1600. L’hai ereditato e ti piace un sacco e ci sei pure affezionato. Ci abiti da 40 anni, ci hai investito un sacco di soldi perché hai messo il parquet in rovere in tutto il primo piano. Se non gli metti il riscaldamento, la luce ecc… ci vivresti come i tuoi antenati? Magari sì ma…



Senti questa: le spese di ristrutturazione e mantenimento sono talmente alte che non puoi più permetterteli da solo perché i tempi sono cambiati e non hai più le rendite di una volta magari, allora devi pensare ad un modo diverso di usare il villone per potertelo tenere ad esempio, chessò, facendo un B&B. Questo è un modo innovativo di vivere il tuo villone. Non vuoi farlo? Non potendotelo più permettere facilmente potrebbe accadere che prima taglierai il tuo tenore di vita, poi non farai le ristrutturazioni fino a che, non sarai costretto a venderlo a qualcun altro o comunque vederlo cadere a pezzi. Se innovi invece rimani il Padrone e salvi tutto, ok, condividerai un po’ gli spazi ma... Non è più desiderabile?

Ecco a cosa serve innovare! Pensare in modo nuovo vuol dire sopravvivere.


Uno potrebbe dire: “E a me che me ne frega da qui a 10 anni (spero 20 dai) non ci sarò più”.


1 questo lo dici tu, magari campi 30 o 40, che ne sai?


2 il tempus digiglobalicus non va alla velocità della vecchia storia, perché annulla le distanze ed il tempo e così gli effetti si vedono non tra 10, 20 anni, ma subito. Aspettare di raccogliere dati per poi strutturare azioni non funziona: è troppo tardi, non c’è il tempo. Si deve agire con tutte le competenze e capacità a disposizione pronte, con intuizione, per cogliere al volo quello che accade, mettersi insieme, condividere risorse e capacità, salvare il vicino per salvare se stessi; puoi anche vedertela così se ti piace di più, ma salvare se stessi affossando il vicino vuol dire fregarsi da soli.


Pensare: “ Ad azione reazione” oggi, (non fino a l’altro ieri che ha sempre funzionato) è assurdo perché oggi qualunque innovazione è in essere, muta mentre la fai e quindi chi copia fa qualcosa che non va più bene perché è vecchia ed inoltre chi copia non è in grado di aggiornarla e arrangiarla via via con l’intuizione per esempio. Non puoi copiare più neppure un prodotto di consumo, prendi la moda come esempio, che si fonda sui significati svelati e condivisi, lo sappiamo bene, ha una stagionalità di mesi. Ecco perché per gestire il presente serve l’aiuto di tutti: tecnici, organizzatori, narratori e poi di persone che sappiano intuire lo spirito di tutti noi. Attenzione: non per orientarlo, ma per interpretarlo e permettere a tutti di dargli forma ed espressione.


Domandone: cosa dobbiamo fare allora?

(non uso il verbo “possiamo” apposta)

Risposta, cambiare il modo di pensare.

Cioè?


L’emergenza non è il Covid, quella è un’urgenza, l’emergenza è cambiare il modo di funzionare di alcuni e cioè secondo la sindrome del Palio di Siena che è: “Mi sbatto e faccio in quattro per fare in modo che tu non riesca a fare niente” Questo blocca ogni innovazione, costruisce pregiudizi, sterilizza la fiducia, genera impotenza, rabbia e paura. Insomma: si vive male.


Detto questo che c’è voluto un bel po’ a convincerci della necessità e non poche arrabbiature contro chi lo diceva da un po’ di anni non perché fosse genio, ma perché vedeva e voleva aiutare ad affrontare i cambiamenti già in atto da ben molto tempo prima del Covid insieme, ora mi sembra esserci anche la Provvidenza[1] delle alte sfere che ci indica la stessa direzione e fanno molto di più: ci danno i mezzi per farla.


Trovo che questa cosa che ci sta dicendo l’Europa sia molto bella: “Ti metto nelle condizioni per farlo. Voglio però che le idee innovative ce le metta tu.”

Questa è una grandissima innovazione nel nostro sistema sociale e un grandissimo esempio che dovremmo prendere come prezioso insegnamento perché rovescia il famoso paradigma della sindrome del palio di Siena che invece funziona al contrario e cioè: mi sbatto e faccio fatica per smontare le tue opportunità di riuscire nel tuo progetto.


Detto questo però siamo a metà dell’opera, perché?

Si devono avere idee nuove e non copiarle.


Perché?

Perché quello che dobbiamo fare oggi non è una rivoluzione (come quella industriale, altro secolo, altra storia, altre lenti), ma una innovazione e l’innovazione è continua e si fa tutti insieme andando nella stessa direzione.


Come si fa?

Con lenti nuove e arrangiando quello che c’è al cambiamento che è in essere, è immanente, giorno dopo giorno in tutte le sfere della vita.


E quindi?

E quindi si deve accettare la collaborazione (nota: non è rivoluzione, non ha niente a che fare con la sostituzione e la lotta generazionale) di chi ha lenti nuove e la capacità di dare i significati in essere, riconoscere i bisogni nuovi, di più, allargati e in divenire, dei desideri anche sociali e così collaborare con questi che possono non insegnare, ma fare in modo attivo e insieme innovazione e così arrangiamo tutti insieme le nostre esistenze. Questo secondo me è innovare.


Cosa manca?

A questo punto niente:


l’Europa ci sollecita;


l’Europa ci dà i mezzi e cioè i soldi per essere chiari;


c’abbiamo pure chi ci accompagna mano nella mano, eppure…


C’è ancora una cosa ed è quella che fa la differenza: mettere in condizione le persone di fare, dargli ruoli e collaborazioni che permettano di farlo tutti insieme con chi c’è già.

[1] Per chi nell’utilizzo di sostantivi come la Provvidenza, ci vedesse qui qualunque cosa di diverso di un modo di rendere la lettura più fruibile, dichiaro che si tratta di un suo sentire personale e non mia intenzione. Ribadisco il principio di base che credo essere di chiunque scriva, dica, faccia qualcosa e cioè: “Sono responsabile di quello che dico, non di quello che gli altri possono capire”. Nel caso avessi turbamenti ti chiedo di scrivermi e ci si chiarisce. Grazie.

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